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La proroga del meccanismo IVA dello split payment al mese di aprile del 2020 e l’estensione dell’ambito di applicazione stabilita dalla Manovra correttiva 2017, determineranno problemi finanziari notevoli ad ulteriori 310mila piccole imprese, in aggiunta alle 2 milioni di imprese che, lavorando con la Pubblica Amministrazione, hanno già “sperimentato” lo split payment dal 2015.

Per le imprese, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, il vero problema sarà costituito dai minori incassi di IVA che, a regime nel 2018, ammonteranno a complessivi 15,8 miliardi.
La Manovra correttiva 2017 (art. 1, D.L. n. 50/2017) prevede che - a decorrere dal mese di luglio 2017 - il meccanismo dello split payment sia esteso anche alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi:

1) effettuate nei confronti di tutti gli enti pubblici inclusi nel conto consolidato della Pubblica Amministrazione: in tal modo la lista dei soggetti a cui si rende applicabile l’obbligo della fatturazione elettronica per la certificazione dei corrispettivi coinciderà anche con l’applicazione del meccanismo dello split payment;
2) effettate nei confronti delle società controllate direttamente od indirettamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ovvero dagli enti locali ed alle loro controllate dirette ed indirette;
3) effettuate nei confronti delle società quotate nel mercato FTSE MIB, nonché alle prestazioni effettuate dai professionisti nei confronti della PA ovvero di uno dei soggetti sopra indicati.

Oltre ad estendere l’ambito di applicazione alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di questi soggetti, lo stesso decreto prevede anche la proroga del regime dal 31 dicembre 2017 al 30 aprile 2020, avendo ottenuto dalla Commissione UE una risposta positiva con decisione del 7 aprile 2017 (cfr. COM(2017) 169 final del 7 aprile 2017).
Dalla relazione tecnica al provvedimento emerge che l’estensione dello split payment alle società controllate dalla PA e dagli enti locali nonché alle società quotate nel mercato FTSE MIB provocherà un minore incasso di IVA nel corso del 2018 pari a 5,3 mld a cui corrisponde, secondo delle stime della CNA, crediti di IVA pagata ai fornitori per circa 3,7 mld da recuperare tramite istanza di rimborso ovvero compensazione orizzontale nel modello F24.

Il problema vero legato al meccanismo dello split payment va oltre ai tempi necessari per la compensazione ovvero per i rimborsi dei crediti IVA aggiuntivi generati.
Il corto circuito provocato dallo split payment, che concretizza il prestito forzoso allo Stato, si realizza durante l’anno d’imposta. Il ritardo nell’erogazione dei rimborsi o i maggiori oneri amministrativi (visto di conformità sulla dichiarazione) da sostenere per il riconoscimento della compensazione, sono solamente dei fattori aggravanti del problema principale.
Il problema vero per le imprese, in particolare di piccole e medie dimensioni, è rappresentato dai minori incassi di IVA che, a regime nel 2018, ammonteranno a complessivi 15,8 miliardi (10,5 miliardi dallo split payment PA e 5,3 miliardi dall’estensione alle società controllate ed alle holding quotate nel FTSE MIB) che non consentiranno di recuperare nel corso dello stesso anno i circa 11,1 miliardi di IVA che, secondo le stime della CNA, gli stessi soggetti continueranno a pagare ai propri fornitori.
Peraltro, il recupero di questi crediti viene ulteriormente ostacolato dalla sempre dalla Manovra correttiva (cfr art. 3, D.L. n. 50/2017), attraverso la riduzione - da 15.000 a 5.000 euro - del limite entro cui il recupero in compensazione dei crediti IVA può essere effettuato senza apporre il visto di conformità sulla dichiarazione.

E' evidente che pagare anche 1.000 euro per ottenere un visto di conformità per compensare 5.000 euro di crediti IVA, sarà molto raro e, pertanto, orienterà sempre più le imprese a chiedere il rimborso dell’IVA pagata ai fornitori, peraltro con dei tempi di esecuzione non sempre in linea con i 90 giorni previsti dalla norma.
E qui arrivata il terzo paradosso del sistema fiscale italiano.
Per coloro che chiedono il rimborso matura un tasso di interesse del 2% e solamente decorso un semestre dalla presentazione della dichiarazione nella quale si chiede la restituzione del credito IVA.
Sarebbe già un segnale allineare questo tasso di interesse al tasso applicato per la ritardata iscrizione a ruolo (omessi versamenti di imposte correttamente dichiarate), che matura subito e al 3,5%.

In sintesi…
Ricapitolando, la Manovra prende 3,4 mld creando un problema finanziario all’intera platea delle imprese e, in particolare, a quelle di più piccole dimensioni che lavorano in prevalenza con soggetti cui si rende applicabile il regime di split payment, che aumenterà di molto la probabilità di maturare dei crediti IVA e il contestuale aumento degli oneri amministrativi necessari per l’utilizzo in compensazione dei crediti IVA, spingendo sempre più le imprese verso la richiesta residuale di rimorso. Richiesta di rimborso su cui continuano a maturare interessi del 2% e solo dal secondo semestre.

Fonte: IPSOA
http://www.ipsoa.it