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Dal 1° gennaio 2018 i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti sono tenuti ad avere alle loro dipendenze un lavoratore disabile indipendentemente dall'effettuazione di una nuova assunzione.

Tale obbligo, previsto inizialmente a decorrere 2017, è stato rinviato al 2018 per effetto del decreto Milleproroghe 2017. Le piccole e medie aziende, qualora superino la soglia dimensionale dei 14 dipendenti, dovranno di conseguenza assumere un disabile entro 60 giorni. Come si calcola l’organico? Come si assolve l’obbligo e quali sono le sanzioni previste in caso di inosservanza?
Con l’inizio del 2018 finisce, nel collocamento dei disabili presso le imprese con un organico compreso tra i 15 ed i 35 dipendenti, una “sorta di moratoria”, in essere dal 17 gennaio 2000, data di entrata in vigore della legge n. 68/1999: quella che, in sostanza, subordinava l’obbligo di assumere un portatore di handicap a quando si fosse effettuata una nuova assunzione. Tale onere, come affermava l’art. 2, comma 2, del DPR n. 333/2000, doveva essere assolto nei successivi 12 mesi. Ora, tutto questo non ci sarà più e queste piccole e medie aziende dovranno, qualora risultino scoperte, assumere un disabile: hanno 60 giorni per adempiere (ad esempio, un datore di lavoro dimensionato a 15 dipendenti alla data del 1° gennaio, dovrà assolvere l’onere entro il successivo 2 marzo).
Tale disposizione non è altro che l’applicazione di quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 151/2015 che ha abrogato il comma 2 dell’art. 3 della legge n. 68/1999.
Le novità che scatteranno prossimamente impongono alcune riflessioni e chiarimenti.

Modalità di calcolo dell’organico
La prima riguarda le modalità di calcolo del personale dipendente con contratto di lavoro subordinato, al fine di verificare se si è raggiunta la soglia minima a partire dalla quale scatta l’aliquota d’obbligo.
Qui, la risposta ce la offre l’art. 4 della legge n. 68/1999, ma occorre “in primis” ricordare che la computabilità tiene conto, ai fini dell’assoggettamento alla normativa, della struttura aziendale, intesa nel suo complesso: ovviamente, in caso di società straniera operante in Italia, il numero va determinato sulla sola sede presente nel nostro Paese (Cass. n. 1324/1987).
Non sono, quindi, computabili:
a) i lavoratori disabili già in forza avviati ex lege n. 68/1999 (ma anche assunti per effetto di norme precedenti tra cui la legge n. 482/1968);
b) i lavoratori occupati con contratto a tempo determinato di durata fino a 6 mesi: si ritiene che gli stessi debbano essere calcolati nel momento in cui superino tale soglia. In presenza di attività di carattere stagionale, il periodo si calcola sulla base delle corrispondenti giornate lavorative prestate nell’arco dell’anno solare, anche non continuative (art. 3, comma 6, del DPR n. 333/2000);
c) i soci di cooperative di produzione e lavoro che hanno in essere, oltre al vincolo associativo, un ulteriore rapporto di natura subordinata (art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001). Il riferimento a tale tipologia di cooperativa non può essere, per analogia, esteso anche a società cooperative che non presentano questa caratteristica, come ribadito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in una risposta alla struttura territoriale di Padova con la nota 10701 del 7 dicembre 2017;
d) i dirigenti, intesi in senso stretto, senza alcun riferimento a “quadri apicali”;
e) i lavoratori occupati con contratto di somministrazione presso l’utilizzatore, in quanto dipendenti dell’Agenzia di Lavoro. Lo afferma anche l’art. 34, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015 che ritiene computabili i lavoratori somministrati soltanto per gli istituti che fanno riferimento alla salute ed alla sicurezza sul lavoro;
f) i lavoratori assunti per svolgere attività esclusivamente all’estero, per la durata di tale attività;
g) i soggetti già impegnati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità assunti a tempo indeterminato ex art. 7 del D.L.vo n. 81/2000;
h) i lavoratori a domicilio: la norma non cita espressamente i dipendenti cin modalità di telelavoro che, tuttavia, parte della dottrina, ritiene assimilabili ai lavoratori a domicilio. Ovviamente, i lavoratori in smart-working sono computabili, a tutti gli effetti, nell’organico in quanto la loro prestazione, frutto dell’accordo previsto dall’art. 19 della legge n. 81/2017, postula, soltanto, che parte dell’attività lavorativa si effettui al di fuori del perimetro aziendale;
i) gli apprendisti di qualsiasi tipologia: qui è l’art. 47, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015 ad affermarlo espressamente e tale esclusione opera per tutta la durata del periodo formativo (in genere, 36 mesi), fatte salve le qualifiche riferibili al settore artigiano ove la durata prevista dal CCNL può raggiungere i 5 anni. Anche gli apprendisti, senza limiti di età, assunti con contratto professionalizzante (art. 47, comma 4) in quanto percettori di indennità di mobilità (ormai, pochi, in considerazione del fatto che dal 1° gennaio 2017 non ci si può più iscrivere nelle liste) o titolari di un trattamento di disoccupazione (NASpI, DIS-COLL, ASDI, ecc.) non sono computabili per tutta la durata del periodo formativo;
j) i lavoratori a tempo indeterminato parziale sono calcolati “pro-quota” come già prevedeva l’art. 18, comma 2, della legge n. 300/1970 (richiamato dal Legislatore) e come, ora, afferma l’art. 9 del D.L.vo n. 81/2015.
Dopo aver ricordato che le frazioni percentuali superiori allo 0,50% sono considerate unità, la disposizione continua ricordando che:
- i lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto, non assunti attraverso il “collocamento obbligatorio” vengono computati nell’aliquota di riserva (che per le imprese di cui stiamo parlando è di una unità) nel caso in cui abbiano una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 60% (si tratta di una modifica inserita nel D.L.vo n. 151/2015) o minorazioni ascritte dalla prima alla sesta categoria delle tabelle allegate al DPR n. 915/1978 relativo alle pensioni gi guerra, o una disabilità intellettiva e psichica con riduzione, accertata dagli organi competenti, superiore al 45%;
- i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni per infortunio o malattia con una riduzione, anche qui, pari o superiore al 60%, possono essere computati nella quota di riserva a meno che tale inabilità non scaturisca da un inadempimento del datore di lavoro in materia di sicurezza od igiene sul lavoro, accertato, in via definitiva, in sede giurisdizionale.

Quando scatta l’obbligo di assunzione dei disabili…
Da quanto appena detto, sia pure sommariamente, scaturisce una diretta conseguenza: l’onere “scatta” soltanto se il numero del personale in forza come subordinato, depurato dai lavoratori “non computabili” raggiunge la quota delle 15 unità.
Probabilmente, qualche datore di lavoro che, magari, ha assunto giovani con contratto a tempo indeterminato sfruttando “Garanzia Giovani”, o le agevolazioni dell’esonero triennale o di quello biennale, potrebbe aver raggiunto la soglia, in quanto, i lavoratori, da subito, sono entrati nell’organico, cosa che, invece, non sarebbe accaduta, fino al termine della formazione, qualora si fosse proceduto all’instaurazione dei rapporti attraverso contratti di apprendistato.

… e come si assolve?
In ogni caso, l’onere deve essere assolto attraverso una richiesta nominativa indirizzata al servizio disabili del luogo ove insiste l’azienda: l’assunzione di un lavoratore, sia pure a tempo parziale, ma con un orario superiore al 50% rispetto a quello contrattuale, ottempera alla previsione legale (art. 3, comma 5, del DPR n. 333/2000). Se il datore di lavoro, per l’oggettiva struttura della propria azienda, non è in grado di effettuare una selezione del personale disabile, può sempre chiedere che lo stesso sia avviato dal servizio attraverso una delle modalità in uso (ad esempio, avviamento sui presenti rispetto ad una carenza pubblicata). Ovviamente, una richiesta di avviamento dell’unità carente sospende qualunque sanzione relativa alla mancata copertura.
Un’alternativa alla ipotesi appena descritta si trova al comma 3 dell’art. 34 del D.L.vo n. 81/2015: in caso di somministrazione di lavoratore disabile per una missione di durata non inferiore a 12 mesi, il lavoratore viene computato nella quota di riserva prevista dall’art. 3 della legge n. 68/1999: ovviamente, la “copertura” dura fino a quando il contratto di somministrazione resta in vigore.

Inosservanza dell’obbligo da parte dell’azienda
Ma cosa succede se il datore di lavoro non ottempera all’obbligo?
Scatta, in automatico, una sanzione amministrativa che, negli importi, è stata aggiornata, dal D.L.vo n. 151/2015. Essa può ben essere verificata ed applicata dagli organi di vigilanza dell’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio, sia a seguito di segnalazione da parte dei servizi competenti, sia a seguito di visita ispettiva, magari anche motivata da altre causali.
Sotto l’aspetto puramente contabile della quantificazione l’operazione degli ispettori del lavoro si presenta alquanto semplice in quanto l’importo è pari a 153,20 euro per ogni giorno lavorativo di ritardo, rispetto a quello in cui è scattato l’obbligo (con una differenziazione per le imprese che lavorano su 5 o 6 giorni alla settimana). La sanzione, fissa e progressiva, è diffidabile (1/4 dell’importo complessivo) a condizione che il datore di lavoro, oltre alla presentazione del prospetto informativo (il cui mancato invio è sanzionato con una somma, anch’essa diffidabile, pari 635,11 euro, oltre 30,76 euro per ogni giorno di ritardo) sottoscriva il contratto di assunzione con il portatore di handicap.

Prospetto informativo
Per quel che concerne la presentazione del prospetto informativo, si ritiene superata la nota congiunta di Ministero del Lavoro ed ANPAL del 23 gennaio 2017 con la quale si affermava che i datori di lavoro dimensionati tra i 15 ed i 35 dipendenti avevano l’obbligo di presentare il prospetto informativo soltanto in caso di una nuova assunzione. Tale indicazione era coerente con quanto disponeva la vecchia norma che, come si è detto, dal 1° gennaio 2018, non c’è più: a tal proposito, sarebbe opportuno che tali organi facessero una lettera di chiarimento, proprio per non indurre in errore le aziende interessate.

Fonte: IPSOA
http://www.ipsoa.it