Il regime di cassa introdotto dalla Legge di bilancio 2017, è piuttosto un regime misto cassa-competenza, poiché se la regola generale è quella del principio di cassa, per alcuni componenti di reddito restano valide le norme di competenza.
E’ uno dei chiarimenti contenuti nella circolare n. 11/E del 13 aprile 2017, con cui l’Agenzia delle entrate si è espressa sul nuovo regime. Non ci sono però grosse novità sui punti più problematici, primo tra tutti quello connesso alle rimanenze finali.
Arriva, finalmente, la tanto attesa circolare dell’Agenzia delle entrate sul nuovo regime di cassa per le imprese minori introdotto dalla Legge di Bilancio 2017.
La circolare in questione è la n. 11/E del 13 aprile 2017 che affronta tutti i vari aspetti del nuovo regime ma, forse, manca di quel “valore aggiunto” che un po’ tutti auspicavano e cioè di chiarimenti ma, soprattutto, aperture sugli aspetti più controversi della norma, tra cui quello connesso alle rimanenze.
Infatti, purtroppo, leggendo il testo del documento, proprio sulle rimanenze non ci sono aperture anche se qualcosa viene chiarita.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di evidenziare quelli che sembrano i passaggi più significativi della circolare.
La scelta delle formule interrogative non è casuale, in quanto si vuole cogliere quanto di nuovo, in termini di risposte ai dubbi dei contribuenti, viene detto nel documento.
Regime di cassa o regime misto?
Innanzitutto, secondo l’Agenzia delle entrate, il nuovo regime, introdotto dalla Legge di bilancio 2017, non è un regime di cassa “puro”, bensì un regime “misto” cassa – competenza.
In sostanza, si deroga al criterio della competenza per i ricavi percepiti e le spese sostenute, ferme restando, come evidenziato nella relazione illustrativa, “le regole di determinazione e imputazione temporale dei componenti positivi e negativi quali le plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, ammortamenti e accantonamenti” previste dal TUIR ed espressamente richiamate dall’art. 66 del TUIR, norma che disciplina, ai fini delle imposte dirette, il nuovo regime.
A tale proposito, l’Agenzia evidenza che la nuova formulazione del comma 1 dell’art. 66 del TUIR non reca più il rinvio agli articoli 92, 93 e 94 del TUIR con la conseguenza che ora non assumono più rilevanza, ai fini della determinazione del reddito delle imprese interessate, le rimanenze finali e le esistenze iniziali di merci, lavori in corso su ordinazione di durata sia infrannuale che ultrannuale e titoli, salvo quanto si dirà di seguito per la gestione delle rimanenze nel primo periodo di imposta di applicazione del regime.
A completamento di ciò, vale anche la pena di precisare che rispetto alla previgente formulazione, l’articolo 18 del D.P.R. n. 600/1973 (norma che, come meglio si dirà, disciplina la c.d. “contabilità semplificata”), per la verifica delle soglie di ricavi, fa riferimento sia ai ricavi conseguiti e, quindi, rilevati “per competenza”, sia ai ricavi “percepiti” e, quindi, imputati “per cassa”.
Per l’Agenzia, è evidente che l’utilizzo del primo parametro (ricavi conseguiti) potrà essere utilizzato solo per la verifica dei limiti dimensionali nell’esercizio precedente a quello di ingresso nel regime semplificato.
Cosa va per cassa e cosa per competenza?
Se, come detto sopra, si tratta di un regime “misto”, allora è bene capire cosa va per cassa e cosa per competenza.
Nella circolare, si afferma che concorrono alla formazione del reddito d’impresa all’atto dell’effettiva percezione (e, quindi, sono imputati per cassa) i ricavi indicati all’articolo 85 e gli altri proventi indicati nell’articolo 89 del TUIR.
Specularmente, lo stesso criterio di cassa si applica anche alle “spese sostenute” nell’esercizio d’impresa.
Ciò, chiarisce l’Agenzia, anche se la formulazione letterale della disposizione in commento non sia mutata (e, sul punto, fa luce su uno dei dubbi).
Quali sono, dunque, le spese che vanno per cassa?
Ad esempio quelle per gli acquisti di merci destinate alla rivendita, di beni impiegati nel processo produttivo, di beni incorporati nei servizi, quelle per le utenze, per i materiali di consumo, le spese condominiali, le imposte comunali deducibili, le spese per assicurazioni e gli interessi passivi.
Sono ugualmente deducibili per cassa, i costi concernenti contratti da cui derivano corrispettivi periodici sono deducibili all’atto del sostenimento della spesa (ma questo è scritto nella norma, quindi, nulla di nuovo).
Un altro dubbio chiarito, riguarda il momento in cui assumono rilevanza fiscale i ricavi incassati e i costi sostenuti con strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.
A tale proposito, l’Agenzia, per analogia, richiama le stesse regole già previste per i lavoratori autonomi che, come noto, applicano “per natura” il regime di cassa.
Quindi, giusto per fare un esempio, se l’operazione la transazione finanziaria avviene con bonifico, i ricavi si considerano percepiti quando la somma di denaro può essere effettivamente utilizzata (alla cd. “data disponibile”).
Invece, le spese si considerano sostenute quando la somma di denaro è uscita dalla disponibilità dell’imprenditore.
Anche in questo caso, comunque, non si tratta di chiarimenti inediti.
Dopo aver definito quali sono i componenti che si imputano per cassa, l’Agenzia passa all’analisi di quelli che costituiscono l’eccezione e, quindi, continuano ad essere imputati per competenza.
Senza voler entrare troppo nel dettaglio (su questi aspetti si rimanda a successivi approfondimenti), l’Agenzia precisa che per quanto concerne i componenti positivi, concorrono alla formazione del reddito secondo il criterio di competenza:
a) ricavi da assegnazione dei beni ai soci o destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (art. 57 TUIR);
b) proventi derivanti da immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (cd. immobili patrimoniali) (art. 90 TUIR);
c) plusvalenze e sopravvenienze attive (artt. 86 e 88 TUIR);
d) redditi determinati forfettariamente per le attività di allevamento di animali oltre il limite di legge (art. 32, comma 2, lett. b) TUIR e art. 56, comma 5, TUIR).
Invece, passando ai componenti negativi, vanno per competenza:
a) le minusvalenze e sopravvenienze passive (art. 101 TUIR);
b) le quote di ammortamento di beni materiali, anche ad uso promiscuo, e immateriali e i canoni di leasing (artt. 64, comma 2, 102 e 103 TUIR);
c) le perdite di beni strumentali e le perdite su crediti (art. 101 TUIR);
d) gli accantonamenti di quiescenza e previdenza (art. 105 TUIR);
e) le spese per prestazioni di lavoro (art. 95 TUIR);
f) gli oneri di utilità sociale (art. 100 TUIR);
g) le spese relative a più esercizi (art. 108 TUIR);
h) gli oneri fiscali e contributivi (art. 99, commi 1 e 3, TUIR);
i) gli interessi di mora (art. 109, comma 7, TUIR).
Come evitare i salti di imposta nel passaggio dalla competenza alla cassa e viceversa?
La nuova disciplina, per evitare che nel passaggio dalla competenza alla cassa (in fase di prima applicazione) o viceversa (anche a regime) si determinino situazioni di doppia tassazione/deduzione ovvero nessuna tassazione/deduzione di alcuni componenti di reddito, ha previsto una norma ad hoc.
Infatti, è stabilito che i ricavi, i compensi e le spese che hanno già concorso alla formazione del reddito, in base alle regole del regime di determinazione del reddito d’impresa adottato, non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi.
Come, materialmente, si applica questa norma?
Nella circolare, anche con l’ausilio di semplificazioni, si schematizza il suo funzionamento in questi termini:
- caso n. 1: componente reddituale – per il quale è mutato il criterio di imputazione temporale in occasione del cambio di regime – che ha già concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole previste dal regime di “provenienza”: non concorrerà alla formazione del reddito dei periodi di imposta successivi, ancorché si siano verificati i presupposti di imponibilità/deducibilità previsti dal regime di “destinazione;
- caso n. 2: componente reddituale – per il quale è mutato il criterio di imputazione temporale in occasione del cambio di regime – che non ha concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole previste dal regime di “provenienza”: concorrerà alla formazione del reddito dei periodi di imposta successivi ancorché non si siano verificati i presupposti di imponibilità/deducibilità previsti dal regime di “destinazione”.
Quanto detto sopra rappresenta una utile sintesi per districarsi in tutte quelle situazioni un po’ più complesse quali quelle che danno luogo a ratei o risconti.
Inoltre, l’Agenzia ricorda che se sono stati corrisposti acconti – fiscalmente irrilevanti nel regime di provenienza, gli stessi concorreranno a formare il reddito nel periodo di imposta in cui si realizzano i presupposti di imputazione temporale previsti dal regime di provenienza.
Nella circolare, infine, si consiglia, in sede di passaggio dal regime di competenza al regime di cassa di mantenere evidenza extra-contabile delle componenti reddituali che, per effetto del mutato criterio di imputazione temporale in occasione del cambio di regime, non concorrono alla formazione del reddito dei periodi di imposta in regime di cassa (ancorché si siano verificati i presupposti di imponibilità/deducibilità previsti da tale regime), in quanto hanno già concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole previste dal regime di “provenienza” (di competenza), e viceversa.
Le rimanenze finali 2016 debbono essere tutte spesate nel 2017?
Nella documento di prassi, purtroppo, si conferma quanto scritto nella norma e ciò spegne le speranze di chi si attendeva una qualche apertura da parte dell’Amministrazione finanziaria.
I timori derivano dalla eccessiva penalizzazione che le imprese passate automaticamente in regime di cassa saranno costrette a subire nei prossimi anni dovendo, di fatto, azzerare e spesare tutto il magazzino nel 2017.
Infatti, la norma va letta tenendo conto delle regole sul riporto delle perdite.
L’art. 8, comma 3 del TUIR prevede che “le perdite derivanti dall'esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice sono computate in diminuzione dai relativi redditi conseguiti nei periodi di imposta e per la differenza nei successivi, ma non oltre il quinto, per l'intero importo che trova capienza in essi. La presente disposizione non si applica per le perdite determinate a norma dell'articolo 66”.
In pratica, per le imprese in contabilità semplificata, le perdite sono computate in diminuzione del periodo d’imposta in cui si sono verificate, senza alcuna possibilità di riporto in avanti.
Pertanto, specie per le imprese con un magazzino rilevante, ciò determinerà una probabile chiusura in perdita nel 2017 e, non potendo riportare tale perdita in avanti, un trend di redditi più elevati (rispetto al trend storico dell’impresa) negli anni seguenti con un evidente aggravio di tassazione.
Nella circolare su questo delicato aspetto non si dice nulla.
Ma ciò non toglie che sulle rimanenze l’Agenzia non faccia qualche affermazione interessante che si può così sintetizzare:
- le rimanenze finali cui fa riferimento la norma comprendono sia le rimanenze di cui all’art. 92 del TUIR – e quindi tipicamente rimanenze di merci e di lavori in corso su ordinazione di durata infrannuale - che quelle del successivo art. 93– e quindi le rimanenze di lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale, nonché dell’art. 94, relativo alle rimanenze dei titoli;
- il componente negativo derivante dalla deduzione integrale nel primo periodo di applicazione del regime di cassa delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza non rileva ai fini dell’applicazione della disciplina delle società di comodo, ossia, per la disciplina delle società non operative (art. 30 L. n. 724/1994) e per quella delle società in perdita sistematica (art. 2, commi da 36-decies a 36-duocecies, D.L. n. 138/2011);
- per l’individuazione dei presupposti della disciplina sulle società in perdita sistematica, laddove il primo periodo d’imposta di applicazione del regime di cassa costituisce uno di quelli compresi nel c.d. periodo di osservazione, il relativo risultato fiscale deve essere considerato senza tener conto del componente negativo derivante dalla deduzione integrale del valore delle rimanenze finali del periodo precedente;
- nel caso di passaggio dal nuovo regime di contabilità semplificata al regime di contabilità ordinaria, le rimanenze di merci il cui costo è stato sostenuto e, quindi, dedotto nel corso dell’applicazione delle regole del regime di cassa non dovranno assumere rilevanza come esistenze iniziali al momento della fuoriuscita dal regime semplificato in deroga alle ordinarie regole di competenza previste dal TUIR. Diversamente, qualora con riferimento alle merci in rimanenza non sia stato effettuato il relativo pagamento, le stesse rileveranno come esistenze iniziali e si applicheranno le ordinarie regole di competenza previste dal TUIR;
- tal fine, è necessario redigere un prospetto iniziale delle attività e passività esistenti alla data del 1 gennaio dell’anno in cui si applica il regime di contabilità ordinaria a norma del D.P.R. n. 689/1974, non soggetto a obblighi di vidimazione e bollatura;
- in tale sede, con specifico riferimento alla valorizzazione del magazzino, è necessario evidenziare l’eventuale disallineamento tra il valore delle esistenze iniziali (determinato in base al costo medio ex art. 6 del D.P.R. n. 689/1974) e il costo fiscalmente riconosciuto delle stesse;
- al fine di calcolare il costo medio delle esistenze iniziali, è necessario far riferimento a tutti gli acquisti dell’ultimo anno (relativi alla singola categoria omogenea) e non solo a quelli relativi ai beni non pagati;
- così individuato il costo medio, al fine di calcolare il valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze sarà necessario far riferimento alle merci in magazzino per le quali non è avvenuto il pagamento.
Come impattano le nuove regole contabili per chi emette scontrini e ricevute fiscali?
Ai fini contabili, l’Agenzia conferma quanto scritto nelle nuove norme; quindi, le imprese minori possono:
a) fermo restando l’istituzione dei registri IVA, ove obbligatori, istituire appositi registri degli incassi e dei pagamenti, dove annotare in ordine cronologico, rispettivamente, i ricavi incassati e i costi effettivamente sostenuti;
b) utilizzare, come in passato, i registri Iva anche ai fini delle imposte sul reddito, annotando separatamente le operazioni non soggette a registrazione ai fini Iva ed effettuando, nel contempo, le annotazioni necessarie a dare rilevanza ai mancati incassi e pagamenti nell’anno di registrazione del documento contabile ai fini Iva;
c) utilizzare i registri Iva anche ai fini delle imposte sul reddito, esprimendo una specifica opzione che consente loro di non annotare su tali registri gli incassi e i pagamenti. In tal caso opera una presunzione assoluta, secondo cui il ricavo si intende incassato e il costo pagato alla data di registrazione del documento contabile ai fini Iva.
In merito al nuovo registro cronologico degli incassi, deve essere annotato, cronologicamente, per ciascun incasso:
a) il relativo importo;
b) le generalità, l’indirizzo e il Comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento: l’Agenzia precisa che basta la sola annotazione del codice fiscale del cliente;
c) gli estremi della fattura o di altro documento emesso: quando non è obbligatoria ai fini IVA l’emissione della fattura, è sufficiente l’annotazione del documento contabile che certifica l’operazione effettuata (ad esempio, anche il documento che comprovi l’effettuazione della prestazione per le operazioni non considerate ai fini Iva cessioni di beni ovvero prestazioni di servizi).
Su questo punto, viene chiarito il dubbio su come conciliare i nuovi adempimenti contabili con chi, tali adempimenti può difficilmente porli in essere.
Ci si riferisce ai soggetti che certificano i propri corrispettivi senza l’emissione di fatture e cioè con scontrini e ricevute fiscali.
In questo caso, l’Agenzia afferma che tali soggetti, non potendo utilizzare i registri degli incassi e dei pagamenti possono adottare il regime di cassa, applicandole norma (art. 18, comma 4 D.P.R. n. 600/1973), secondo cui i registri Iva sostituiscono i registri degli incassi e dei pagamenti qualora vi siano iscritte separate annotazioni delle operazioni non soggette ad Iva, sia indicato l’importo complessivo dei mancati incassi o pagamenti nonché i documenti contabili - fatture ove emesse - cui gli stessi si riferiscono.
In altre parole, è sufficiente tenere il registro dei corrispettivi e delle fatture di acquisto integrandoli con l’annotazione per massa dei mancati incassi dei corrispettivi e dei mancati pagamenti degli acquisti.
L’importo dei corrispettivi al netto dell’IVA oggetto di scorporo, concorrerà alla determinazione del reddito, tenendo conto di quanto effettivamente incassato.
Attenzione, però: per esigenze di controllo nel registro dei corrispettivi devono essere indicate le generalità e gli importi dei soggetti debitori ai quali si riferiscono i mancati pagamenti.
Detti importi, poi, dovranno essere poi annotati entro 60 giorni dalla data dell’effettivo incasso, indicando le generalità del soggetto che ha effettuato il pagamento.
Fonte: IPSOA
http://www.ipsoa.it